Nell’arco di questi giorni, così densi di significato sociale, ho visto molte persone chiedere alla musica un level-up. Diverse persone hanno chiesto al rap di “tornare ad essere il vero rap” e ai rapper di smetterla di parlare solo di gioielli e droga. Il lusso e la criminalità, però, sono una componente storica del rap e affondano le loro radici in tutta la cultura black, prima ancora della nascita di questo straordinario genere. Anche Tedua qualche giorno fa, prima che le vicende statunitensi scossero il mondo, chiese vera musica ai colleghi, dicendo “dobbiamo spaccare di più, e smetterla di fare musica commerciale, senza spessore, solo per fare soldi facili”. La voglia dell’artista genovese di rendere più matura la scena è apprezzabile e sacrosanta. L’idea diffusa tra molti ascoltatori che il rap oggi parli solo di lusso e violenza, in contrapposizione con il rap lirico e profondo della vecchia guardia, è errata e dimostra anche una certa ignoranza riguardante la vecchia scuola.
“Rappers; I monkey flip ‘em with the funky rhythm
I be kickin’, musician inflictin’ composition
Of pain, I’m like Scarface sniffin’ cocaine
Holdin’ an M16, see, with the pen I’m extreme”
Queste sono le barre con cui si apre “N.Y. State of Mind” di Nas, uno dei pezzi di punta del classico “Illmatic”, spesso ritenuto il miglior album rap di tutti i tempi. Eppure possiamo vedere che anche Nas, senza dubbi uno dei migliori liricisti che questo genere abbia mai visto, fa riferimenti violenti (la monkey flip è una mossa di wrestling), parla di cocaina e di armi. Questo dovrebbe declassare la capacità del rapper del Queensbridge? Assolutamente no.
Vi faccio un altro esempio prima di arrivare alla pura riflessione. Se pensate al pezzo rap per eccellenza degli anni ’00 italiani c’è una sola risposta giusta: “Puro Bogotà” dei Dogo, Marracash e Vincenzo da Via Anfossi. Eppure, anche l’amatissima perla tutta milanese della Dogo Gang basa il suo testo sulla vita di strada, sullo spaccio e sulla violenza.
Anzi, un ultimo esempio per quanto riguarda il lusso, che è sicuramente l’argomento centrale di un pezzo apprezzatissimo come “Big Poppa” di Notorious. Molti esaltarono Biggie per questo pezzo, vedendo il suo modo di proclamare i suoi traguardi e la virtuosità della sua vita come un forte segnale di rivalsa sociale.
Questo non vuole certo essere un modo di sminuire tre pezzi leggendari e bellissimi come “N.Y. State of Mind”, “Puro Bogotà” e “Big Poppa”, ma di evidenziare come tradizionalmente il materialismo, il lusso, la violenza e la droga siano una componente fondamentale del rap. Ovviamente il movimento hip hop di oggi e la relativa musica sono criticabili, ma attaccare gli artisti confrontandoli con i loro predecessori non vi porterà da nessuna parte, visto che è dall’alba di questi genere che si parla di collane, macchine e armi. Quasi dimenticavo, il rapper con più collane di sempre, il famoso Slick Rick, anche noto come Rick the Ruler, è un pioniere del genere che è ststo attivo soprattutto negli anni ’80. Quello della gioielleria nel rap non è un vizietto arrivato con i Migos e la trap. Inoltre, il mafioso-rap di New York, un sottogenere del rap che celebra la criminalità, è stato creato verso la fine degli anni ’90 da mostri sacri come Raekwon e Jay-Z.
Per concludere, il rap consumistico, che parla di lusso e violenza, potrebbe non essere la forma più nobile di espressione artistica, ma è spesso una lettura sociale fedelissima, che racconta le priorità di chi, oggi come ieri, si innamora di questo genere. Il fatto che alcuni gruppi e artisti storici abbiano fatto lavori speciali rendendo il rap un genere anche introspettivo, impegnato e sociale, non significa che questa debba essere la sua unica dimensione.
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