Intervista a Dj Myke: la scriteriatezza mi rende speciale

Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Dj Myke, leggendario dj italiano che ha reso disponibile tutte le sue strumentali in questo periodo di quarantena per mettere alla prova le capacità e le rime di chiunque voglia provare ad usarle. Il catalogo è molto ampio, visto che dj Myke ha prodotto moltissimi pezzi, lavorando con rapper italiani importantissimi tra cui Rancore e Fabri Fibra. Ecco a voi cosa ci ha raccontato Dj Myke.

– Rendere disponibili le tue strumentali in digitale è stato un invito a rapparci sopra. Credi che sia facile per un emergente rimpiazzare le varie leggende che nel tempo hanno rappato sulle basi di Dj Myke e crearci qualcosa di valido e più attuale?

Vorrei in primis ringraziare Stefano MarvelMex, è stato lui ad avere l’idea di pubblicare le mie strumentali! Detto questo: io credo che la musica sia contemporanea, quindi non necessita per forza di rinnovamento, perché poi chi lo decide questo rinnovamento? Siamo sempre lì, l’eterna lotta tra vecchio e nuovo, commerciale e underground, etc etc… Secondo me, ognuno ha la capacita di poter “fare” qualcosa, a patto che lo voglia veramente. E poi, comunque, io ho messo le mie strumentali a disposizione di tutti e non ho mai chiesto di rimpiazzare, anzi sto dicendo il contrario! Fregatevene delle versioni originali ed andate liberi. Trovo che oggi quello che viene continuamente bombardato come novità assoluta sia veramente pieno di restrizioni, non so se mi spiego, nel senso “per essere così” devi “essere così’”… più restrizione di così neanche la quarantena.

– Hai delle aspettative per questo progetto? Che strumentale credi che sarà la più usata?

Non ho aspettative da svariato tempo, neanche da me che comunque continuo a mettermi sempre in discussione. Ho capito con gli anni e provato sulla mia pelle che “aspettarsi nulla” ti salva la vita.

Per ora la più usata è Disney inferno 🙂

– Se dovessi scegliere una tua base edita su cui far rappare un artista di oggi, che base e che artista sceglieresti?

Darkness, e mo’ ditemi che quello è un beat di ieri! Io continuo a non capire questo concetto, poi di solito faccio proposte artistiche a chi mi piace artisticamente, difficilmente chiedo il genere musicale o la carta d’identità, quello lo lascio all’anagrafe o alla polizia. La base te l’ho detta, ma il cantante in questo momento non mi viene in mente, ce n’è qualcuno sicuramente. Il problema non è stilistico, io mi adatto a tutto, il problema è forse che gli altri si adattano male al mio modo che è assolutamente libero di concepire la musica.

– Quali sono le caratteristiche che, secondo te, rendono speciali le tue strumentali?

La libertà per la creatività, come ti dicevo, l’amore vero per quello che faccio e quel pizzico di scriteriatezza che forse le rende piacevoli anche a me (che sono un rompicoglioni). Spero che si sentano queste cose come le sento io.

– Quale strumentale, tra quelle che hai prodotto, ricordi con più affetto? Perché?

Mah, forse tutte, ed ho aneddoti su tutte davvero, ricordo però Sunshine, quando quella sera suonai e registrai la batteria del pezzo in un microstudio dove praticamente ci entrava solo la batteria microfonata ed un portatile. Quando smisi la session ricordo la condensa del sudore che gocciolava dal soffitto. Mi ero spremuto l’anima (non essendo un batterista) e anche il corpo, tornai a casa in metropolitana e la gente mi diceva “Scusi tutto a posto? Come mai e così fradicio? Eppure fuori non piove…”.

– Credi che lo scratch sia un’arte che meriterebbe più spazio nel rap di oggi?

Credo che lo scratch, come tutte le arti musicali, sia un qualcosa che comunque merita più spazio e approfondimento.

Vorrei sommessamente ricordare a tutti i lorsignori che ieri, oggi e domani si sono avvicinati “all’urban” (diciamo così, almeno è attuale), che tutto ciò – nelle sue varie sfaccettature – è sempre partito da un DJ, quindi si dovrebbe portare più’ attenzione alla figura del DJ e più approfondimento. I DJ non sono quelle cose inutili che il rapper si porta dietro per premere “play”, o la modella o l’influencer che va a “mettere i dischi” – come dice lui – col pc… No, ragazzi miei, il DJ non è questa cosa qui, non è neanche il produttore che fa tutto con il pc, poi dal vivo non sapendo dove mettere le mani si autoinveste della parola DJ, mettendo musica con tasti premuti. No amici, non è così. E questa non è polemica, è una cosa scontata, purtroppo ribadire semplicemente lo stato delle cose passa come polemica o rosicare. Ma con me è un giochetto che funziona male, mi dispiace per tanti che si precludono un mondo, quello del DJING! Molto divertente, in pieno fermento e sempre sul pezzo.

– In passato hai partecipato anche aperto le date italiane dei Prodigy, storico gruppo del big beat. Come ricordi Keith Flint, il fondatore del gruppo tragicamente scomparso lo scorso anno?

…Keith era quello insieme a Liam che si seguiva tutto il DJ set seduto dietro il palco, e quando noi scendevamo e loro salivano (c’erano sempre svariati minuti tra l’uno e l’altro) mi fermava e mi bombardava di aneddoti sui vari brani che avevo messo, e che a volte non conoscevo manco io. E poi è stato il primo che nel camerino a me ed Aladyn ci portò una Magnum di Moet e se l’è scolata con noi. Non parlo del lato artistico, perché non sono certo io a dover dire qualcosa riguardo una vera e propria macchina da musica.

Intervista di Matteo Pinamonte

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