Dal 10 al 15 agosto si è tenuto sulla “isola della felicità” di Óbuda lo Sziget Festival, uno degli eventi artistici internazionali più importanti in Europa. Tra gli esponenti che son stati chiamati a rappresentare la scena sono stati gli Psicologi che hanno portato sull’Europe Stage il loro ultimo progetto “Trauma”, raccontando al pubblico ungherese le paure e le cicatrici che i due anni di pandemia ci hanno lasciato.
Abbiamo avuto la possibilità di scambiare due chiacchiere con Drast (D) e Kaneki (K) per poter approfondire meglio il disco e conoscere le loro sensazioni prima di salire sul palco ed esibirsi.
Ciao ragazzi! State per esibirvi ad uno dei festival internazionali più importanti d’Europa, come vi sentite?
K: Brividi. Si, brividi.
D: Figo, speriamo vada tutto per il meglio.
K: C’è pure Banks poi (Villabanks, ndr.), davvero una presa bene incredibile.
D: Speriamo non sia un concerto limitato soltanto agli italiani ma che si riesca ad unire qualcuno incuriosito dalla nostra musica.
K: Ma poi “shalla”, se ci dovessimo trovare anche solo cinque persone sotto al palco saremmo fomentatissimi uguale.
È la prima volta per voi davanti a un pubblico internazionale. Che reazione pensate avrà?
D: Spero non fischi nessuno (ride, ndr.). Quando ti sposti da un territorio di comfort secondo me riesci ad avere un feedback e un coinvolgimento diverso e più legato alla musica in sé che ai testi e sarà figo vedere se il nostro sound arriverà o no al pubblico. Prima la mia ragazza mi ha detto che dobbiamo solo pensare al far ballare le persone perché è questo che cercano ai festival. È così se ci pensi, no?
K: A me alla fine basta che qualcuno muova un po’ la testa (ride, ndr.), sarebbe incredibile lo stesso. Già che prima durante il soundcheck ci hanno rivolto qualche sguardo è stato bellissimo.
Al festival si sono esibiti e si esibiranno alcuni degli artisti internazionali più importanti. C’è qualcuno nella line-up che è tra le voste principali influenze? A cosa vi siete ispirati nell’ultimo periodo?
D: Sicuramente Tame Impala e gli Arctic Monkeys, sia dal punto di vista musicale che da quello effettistico ed esibizionista. Per quanto riguarda il sound in realtà nasce sempre tutto in maniera spontanea suonando qualcosa in studio.
Nel disco ci sono tante influenze. Sicuramente ci sono tanti richiami alla musica funk napoletana, come si sente in “Colore” fino a quella post punk di “1312”.
Da che trauma è nato “Trauma”?
D: “Trauma” nasce dalla crescita in generale, nasce dai lati positivi e negativi di diventare un essere umano senziente, di smettere di essere servito e riverito dalla vita. Uscire dalla propria comfort zone ti fa vivere il primo grande trauma di diventare una persona al singolare e non far più parte di un contesto familiare da cui cerchi di scappare. Abbiamo cercato un po’ di racchiudere le vite ed esperienze nostre e quelle dei nostri amici.
Riascoltando “Millenium Bug” e “Trauma”, in cosa notate una crescita musicale?
D: Forse più che cresciuti da un punto di vista musicali siamo cresciuti umanamente.
K: Personalmente io per questo disco ho preso lezioni di canto, sessioni piene e “strong”, per provare a migliorare e crescere musicalmente.
D: Essendo il quarto progetto che facciamo, o quinto se consideriamo anche la repack del vecchio disco, penso che abbiamo sempre più confidenza con le macchine che usiamo e con il processo di creazione di una canzone. La crescita c’è stata nel sapere inquadrare meglio ciò che vogliamo fare. “Millenium Bug” lo possiamo considerare più un mixtape che un disco perché racchiude suoni diversi senza un vero filo conduttore mentre “Trauma” può essere ascoltato tutto in un’unica botta riconoscendone un mood, nonostante mood diversi.
Avete raccontato che “Sui Muri” è un brano figlio di delle sessioni sul Lago di Garda dopo il primo viaggio post quarantena a Barcellona. Cosa di quei due anni di pandemia vi stavate portando dentro che poi si è evoluto nel brano?
D: Il pezzo non è propriamente la fotografia di un viaggio incredibile che ci ha cambiato la vita: non siamo andati in Vietnam ma banalmente a Barcellona. Semplicemente, penso che se racconti tutto ciò che ti succede riesci sempre a dargli una poetica propria che sta nei sentimenti e nelle emozioni che provi facendolo diventare qualcosa di veramente sentito. È stato un bel viaggio: in quel momento pensavamo quelle cose e molto naturalmente sono diventate una canzone. Se ci pensi, fino a 30 anni fa i cantautori scrivevano pezzi anche sui calzini che si cambiavano al mattino. Oltretutto, “Sui Muri” è nata in un periodo in cui viaggiare era veramente “scappare” da qualcosa, dalla gestione paranormale che c’era qui.
K: In realtà ogni volta che usciamo dall’Italia mi sento come se stiamo scappando.
D: Ma in quel periodo più delle altre volte. C’erano troppe limitazioni, era come un incubo.
K: Ancora oggi secondo me ce ne sono troppe in generale, basta uscire un po’ fuori per accorgersene.
Sia nella copertina che nel video di presentazione di “Trauma” i vostri amici hanno un ruolo centrale. Quanto sono stati importanti negli ultimi due anni bui?
D: Tanto. Io, per esempio, ho trascorso uno degli ultimi due anni di pandemia vivendo con i miei due migliori amici a casa mia. È stato sia un farci forza che un vivere in maniera paranormale: avevamo una routine che non può esistere in nessun ecosistema, vivevamo proprio male. Nel corso degli anni ne abbiamo viste di tutti i colori sui nostri amici: chi iniziava a lavorare, chi andava in erasmus, chi aveva i genitori che stavano perdendo il lavoro, chi si drogava a manetta o chiudeva in casa isolandosi. Due anni così come li abbiamo passati generano molte cose.
K: Questi due anni sono stati veramente difficili. Casa mia era sempre piena di amici, sembrava quasi un centro sociale. Ci sentivamo proprio male e stare insieme è stato ciò che ci ha aiutati a uscirne.
Come sono nati i featuring del disco?
D: Il pezzo con Arianna è nato maniera spontanea: avevamo la canzone pronta e pensavamo che ci stesse molto bene lei così l’abbiamo chiamata in studio. Il pezzo con Franco lo desideravamo da tanto: è sempre stato una grande ispirazione per noi, oltre a essere un caposaldo della musica autoriale degli ultimi anni. Per quanto riguarda ThaSup invece erano due anni che ne parlavamo e finalmente l’abbiamo fatto, anche se non siamo riusciti a chiuderlo con gli altri e quindi è stato pubblicato dopo.
Con il tempo si sta iniziando a sentire sempre di più il tocco di Drast nelle vostre produzioni. Come si sta evolvendo il tuo approccio ai pezzi?
D: Non faccio tanti lavori di produzione per gli altri perché non mi piace fare le cartelle di beats e così sto rifiutando tanti lavori. Sono abituato a preparare la strumentale insieme all’artista, un po’ come facciamo quando siamo tra di noi, e a scrivere più su un giro d’accordi che su un beat già pronto. Non è una collaborazione vera inviare una cartella e farci scrivere sopra: è bello stare lì tutti insieme lavorandoci in gruppo facendo nascere qualcosa di bello.
K: Se una cartella di beat è fatta per te, ha senso ed è bello scriverci sopra. Ma quando vuoi lavorare con qualcuno e te la invia è un po’ una “pezza”, no?
D: Sono contento se mi dici che si inizia a sentire sempre di più il mio tocco perché vuol dire che sto facendo bene quello che vorrei fare in futuro.
Intervista di Alberto Rogano.
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