Dopo anni di singoli e successi l’attesa e le aspettative per il nuovo disco di Giaime erano alle stelle e, con la pubblicazione di “Figlio Maschio”, l’artista milanese ha finalmente potuto mettere in mostra la sua versatilità stilistica e lirica. L’album si presenta come il suo ritratto artistico in cui risalta una ricerca sonora non indifferente nello spaziare tra i generi, dal reggaeton di “Quando” al punk pop di “Mamma (scusa se)”, mantenendo il rap come filo conduttore nella scrittura e nelle melodie. Abbiamo avuto la possibilità di scambiare due chiacchiere con Giaime per approfondire gli aspetti più interessanti del disco e della sua inusuale carriera.
Sono passati otto anni dalla pubblicazione del tuo ultimo album “Blue Magic” ed è appena uscito “Figlio Maschio”, il tuo “secondogenito”. Come ti senti?
“Blue Magic” è stato il mio primo album ma lo pubblicai da indipendente mentre questo ha un significato più ufficiale: se dovessimo metterlo su Wikipedia dovremmo segnare “Figlio Maschio” come il vero e proprio “inizio”, il mio primo album in major. Le sensazioni sono buone, bisogna, però, ancora realizzare il tutto. Per me ovviamente non cambia nulla finché non ci saranno i pareri degli altri, di persone come te, dei magazine, degli addetti ai lavori: sono soddisfatto di quello che abbiamo fatto e sono molto contento che finalmente potremo condividerlo con tutti, sono mesi che ci penso.
Negli ultimi anni hai pubblicato moltissimi singoli, tra cui le certificazioni oro e platino di “Fiori”, “Parola”, “Mi ami o no”, senza mai racchiuderli in un album ufficiale, se non nell’EP “Mula”. Come pensi che questo periodo di “attesa” ti abbia influenzato e cosa ti ha dato la spinta a lavorare a questo disco?
Sicuramente questo periodo mi ha influenzato perché avevo capito ciò che non volevo più fare. Da quando ho iniziato a pensare al disco non volevo più concepire pezzi non collegati tra loro: tutti i brani, compresi quelli scartati o che sono rimasti incompleti, sono nati dall’esigenza di creare un progetto più ampio e inclusivo. Sapendo come fosse “impacchettare” singoli, l’idea di preparare un album mi ha anche portato a scrivere e a concepire i pezzi in modo differente.
Giaime è il tuo nome e non uno psudonimo, Mula è sia il tuo cognome sia il nome del tuo ultimo EP, “Figlio Maschio” richiama l’essere l’unico figlio maschio della tua famiglia. Perché la scelta di rendere così intima e personale la tua musica?
Mi piace che nella musica sia coinvolta la mia vita, mi piace renderla autobiografica e di conseguenza non creare il distacco tra la persona e quello che è il mezzo per comunicare con gli altri: è come se fosse un codice e l’unico modo per trasmettere ciò che interiorizzi è quello di scrivere una canzone.
Da anni il tuo percorso è scandito dai beat di Andry The Hitmaker ed è protagonista anche in “Figlio Maschio”. Quanto il suo apporto ha aiutato la tua crescita artistica?
Tutte le persone che incontri nel percorso della vita, in questo caso lavorativa, ti lasciano qualcosa. Tutto quello che sono, a livello artistico, è sicuramente influenzato dagli studi in cui sono andato a registrare sin da quando avevo quattordici anni, però, effettivamente, a volte incontri persone con cui, più che con altre, riesci a prenderti meglio, c’è più chimica e l’influenza è netta. Avere una collaborazione così longeva e intensa con Andry ha sicuramente migliorato la mia figura artistica in toto. Credo che ci siamo dati una bella mano a vicenda: ognuno ha saputo prendere quel che era giusto prendere dall’altro e ciò ci ha spinto a continuare a collaborare e guardare oltre. D’altronde, non ho mai iniziato una saga se non con lui.
Oltre ad Andry nel disco vi sono molti produttori che hanno aiutato a conferire un sound più eterogeneo e sperimentale al progetto. Cosa ti ha spinto a uscire dalla tua zona di comfort?
Tutte le ricerche sonore del disco sono nate da una mia volontà, senza nulla togliere ai producer.
Ascoltando diversi generi e venendo in contatto con nuove realtà mi sono spesso presentato in studio pensando a ciò che mi piacesse in quel periodo per poi provare a prendere ispirazione. È tutto nato come un gioco: la curiosità di come mi sarei adattato su nuovi beat, nuove sonorità e su come mi sarei interfacciato con nuovi producer mi ha spinto a uscire dalla zona di comfort.
Quali sono gli artisti che più ti hanno ispirato in questa ricerca?
Gli artisti principali che mi hanno formato sono Jay-Z, Drake, Bad Bunny, Post Malone, Myke Towers: punti di riferimento di tutti i generi che ho esplorato nel disco.
Nonostante la varietà stilistica si denota invece la tua identità lirica, capace di spaziare da testi più leggeri a testi più conscious. Qual era l’obiettivo mentre scrivevi il disco?
Mi fa piacere che la pensi così, io da interno faccio difficoltà a capirlo ma questo era l’obiettivo: mantenere la mia identità nonostante mi sia spinto in nuovi ambienti.
Ho scritto quello che avevo bisogno di scrivere. Non mi sono dato limiti sotto nessun punto di vista ma ci tenevo a comunicare, anche nei brani più impegnati, un atteggiamento di leggerezza e sicurezza: anche parlando di argomenti più intimi e pesanti ho cercato di scrivere in modo da non “far cadere i coglioni” (ride, ndr.)
Hai spesso indicato i Club Dogo come artisti che hanno segnato la tua crescita negli anni. Com’è stato collaborare con due pilastri del genere?
I Club Dogo hanno fatto parte della mia adolescenza e la loro partecipazione nel disco è una “bandierina” che mai avrei pensato di poter mettere a segno. Sono collaborazioni nate in modo spontaneo, quasi venute da sé che hanno reso il tutto più speciale.
Un altro ospite del disco è Nashley in “Sequel”, com’è nata questa collaborazione?
Nashley è un ragazzo che reputo valido e che ha sempre dimostrato stima e rispetto nei miei confronti, tanto da invitarmi già ben due volte nei suoi singoli. Volevo ricambiare il favore perché se lo merita e spero che ciò possa essere utile per la sua crescita, un po’ come Lazza lo è stato con me collaborando in “Fiori”. Siamo amici, abbiamo un ottimo rapporto e mi sento quasi come un fratello maggiore: sono davvero contento di averlo coinvolto nel disco. Inoltre “Quanto freddo fa” e “Prendere o Lasciare” sono andati molto bene: squadra che vince non si cambia!
Le ultime collaborazioni di “Figlio Maschio” sono Rose Villain e Chadia Rodriguez, prima tue collaborazioni con artiste donne. Cosa ne pensi della crescita che sta avendo il rap femminile?
In Italia, fortunatamente, sta cominciando a muoversi qualcosa a riguardo ed è giusto che sia così. In America c’è molta hype per questo “fenomeno” ma è un movimento già affermato e normalizzato. Come è servito del tempo al rap italiano prima di imporsi, così sono sicuro che con il tempo perderemo questa “suddivisione” e che non ci sarà più differenza tra uomini e donne nel rappare.
Il disco è stato scritto interamente durante la pandemia, quanto questo periodo ti ha influenzato nella sua stesura?
Questa situazione mi ha inevitabilmente influenzato inconsciamente: non ho mai scritto pensando al periodo che stiamo vivendo ma penso che nel modo di esprimermi e nei testi ci siano stati dei cambiamenti dettati dalla pandemia. Credo che sarebbe uscito tutt’altro disco se non fossimo stati catapultati in questa situazione soprattutto nei testi, d’altronde quando ti esprimi butti fuori te stesso e inconsciamente questo periodo fa parte di noi.
Per via del virus è da due anni che la musica è “in ginocchio” in attesa di eventi e concerti, ti manca il poter portare il disco in tour?
Mi manca tanto il contatto con il pubblico: è sempre bello cantare le proprie canzoni, soprattutto quando c’è qualcuno a cantarle con te. Diciamo che ormai ci siamo messi l’anima in pace ma appena ci saranno le giuste condizioni saremo felici di poter condividere con voi il nuovo disco.
“Figlio Maschio” arriva quindi dopo anni di sperimentazioni ed esperienze ed è come un ritratto di quello che è Giaime oggi. Pensi che questo sia un punto di svolta per la tua carriera?
Ancora non so come cambierà la mia vita con l’uscita di “Figlio Maschio”. Sicuramente ora so cosa voglia dire approcciarsi alla preparazione di un album e probabilmente è ciò che continuerò a fare rispetto, invece, a quel che ho fatto nel mio percorso artistico fino ad ora. Il disco non è né il continuo di un progetto né la chiusura di un capitolo rispetto al passato e sicuramente la presenza di sperimentazioni e novità rispetto a “Mula” e ai singoli precedenti rappresenta un punto di svolta, vediamo che direzione prende!
Intervista di Alberto Rogano.
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