A vent’anni cambiano tante cose: cambi città, abitudini, conoscenze, scegli l’università, inizi a lavorare e vai a vivere da solo, o meglio, vai a convivere con quelle aspettative e paranoie che frenano le tue giornate.
A vent’anni è facile sentirsi inutili, sentire di dover fare qualcosa in più perché non si sta facendo nulla di buono né per se stessi né per gli altri e ciò ti blocca. Allora resti nel letto a pensare, con la luce spenta e le cuffiette, e cerchi nuova musica malinconica che sovrasti quelle voci. Se mai hai provato questa sensazione allora ho il disco giusto da consigliarti: “difetti di forma” di Atarde.
Dopo esser stato inserito tra i venti artisti da tenere d’occhio nel 2022 da Vevo, Atarde, pseudonimo di Leonardo Celsi, ha recentemente pubblicato per PezziDischi il suo primo progetto ufficiale “difetti di forma”, un EP figlio dell’insoddisfazione e delle paure di un ragazzo di vent’anni. Sette brani si intrecciano in una struttura simmetrica creando un alternarsi di mood, generi ed emozioni. Spaziando tra lo-fi e pop indie, tra pezzi “up” e pezzi dalla vena più triste, l’artista anconetano ha avuto modo di presentare al grande pubblico uno stile eclettico e una lirica evocativa riuscendo a far immergere l’ascoltatore nel suo immaginario.
In vista del suo debutto ufficiale ho avuto l’occasione di scambiare due chiacchiere con Atarde per scoprirne di più su “difetti di forma” e il suo modo di approcciarsi alla musica.
Ciao Atarde! Hai da poco pubblicato il tuo primo progetto ufficiale “difetti di forma”, da dove nasce il titolo?
“difetti di forma” è una citazione a un pezzo dell’EP, “Rooftop”. È una parte della canzone che mi piace molto perchè è la fine di un brano allegro, “up”, che nell’outro però torna a uno stato più triste e malinconico. In particolare, “difetti di forma” è un mio modo di esorcizzare quell’attitudine che ho di cercare sempre il dettaglio sbagliato in ciò che faccio e dare questo nome al progetto è stato come “mettere il dito nella ferita”.
Ascoltando il progetto salta all’occhio la specularità nel disporre le tracce per stile e mood. Com’è nata questa struttura?
Un libro che ho letto di recente, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” (Milan Kundera, ndr.), aveva un punto secondo me molto interessante secondo cui nella nostra vita quotidiana cerchiamo sempre e inevitabilmente una certa simmetria in ciò che facciamo. Sono uno che crede tanto nel caso e così ho sentito la necessità di inserire questo fattore, di ricercare una simmetria che soddisfacesse sia un aspetto stilistico che un ordine quasi geometrico.
Il progetto ruota attorno a “Passa”, il brano centrale che, come hai raccontato nelle storie, è stato il primo ad esser inserito nell’Ep. Che sensazioni ti ha dato in più rispetto agli altri pezzi?
“Passa” è nata in studio con Renee ed è stata la prima volta che ho avuto modo di lavorare direttamente con un produttore, la prima volta che ho avuto la sensazione netta che il suo lavoro avesse stravolto completamente il pezzo rendendolo migliore rispetto alle mie aspettative. È subito piaciuto al mio team discografico ed è stato importante sentire il loro appoggioo. È un pezzo che per me significa tantissimo perchè rappresenta al meglio il mio vissuto: è quella più personale che racconta meglio di me, di come penso e di come mi rapporto agli altri. Inoltre, “Passa” ha un argomento centrale che sono riuscito ad approfondire molto bene, una cosa che difficilmente faccio nei pezzi.
Nell’EP la tua eterogeneità stilistica si rispecchia nelle produzioni e nell’elevato numero di produttori. Nonostante i tanti artisti, quanto è importante il tuo approccio diretto al brano?
Il mio lavoro di co-produzione in quasi tutti i pezzi è piuttosto minimale perchè non so suonare benissimo nessuno strumento ma è importante per dare al brano una struttura e un imprinting iniziale prima che venga poi migliorata da un professionista.
Nonostante il mio ruolo sia marginale, non riesco a lasciare la produzione in secondo piano perchè da sempre scrivo così le canzoni ed essendomi avvicinato così alla musica era un peccato abbandonarla.
Per un artista abituato a lavorare da solo come te, lavorare con altri artisti quanto ti ha spunto fuori da una zona di comfort?
Lavorare con altri produttori è stato importantissimo: ognuno è riuscito a dare il proprio imprinting e stampo ai brani creando un’idea collettiva. Inoltre, per me, sia in quanto di persona che di musicista, è davvero molto stimolante poter parlare con qualcuno che ha potuto fare della musica il proprio lavoro. L’EP è pieno di nomi diversi: alcuni sono miei amici mentre altri sono produttori che ho conosciuto direttamente in studio ma che, avendo un background e un vissuto diverso l’uno dall’altro, mi hanno arricchito a modo loro.
Il disco si chiude con “.”, una traccia nascosta che racconta di un vecchio te. Se avessi davanti il Leonardo di qualche anno fa, quel perfezionista spaventato davanti ai “difetti di forma”, cosa pensi che direbbe dell’EP?
È difficile dirlo perchè nel tempo sono cambiate tantissime cose. Non so se il Leo del 2019 avrebbe capito questo disco: penso che quel Leo concedesse molto meno mentre “difetti di forma” è un progetto con molti compromessi con l’ascoltatore, soprattutto per raggiungere un pubblico più ampio. Se tre anni fa mi avessero detto che avrei fatto un disco del genere ne sarei stato davvero contento perchè è stato un grande salto in avanti: da fare musica in camera mia a girare l’Italia per incontrare dei produttori è un passo che mai mi sarei immaginato di fare e sono stato fortunato a poterlo fare. Quindi Leo stai tranquillo, è un bell’EP (ride, ndr.).
Nel progetto hai presentato varie sfaccettature del tuo stile. Quale direzione hai intenzione di intraprendere in futuro?
Sicuramente l’idea è quella di continuare “difetti di forma” un po’ all’infinito. L’aspetto cruciale sta nelle diverse sfaccettature e negli stili di questo progetto e non ho intenzione di smettere di cambiare e trovare una direzione unica. Non ho in mente precisamente cosa farò, non so se magari in futuro farò un pezzo reggaeton o meno (ride, ndr.). Vorrei provare tante cose, mi tengo aperto a tutte le possibilità e vedrò chi incontrerò in questo percorso e cosa mi porteranno a fare.
Intervista ed articolo di Alberto Rogano.
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