Dopo aver vinto la quindicesima edizione di X Factor, Baltimora ha recentemente pubblicato il suo progetto d’esordio “Marecittà”, un EP figlio del suo passato che ne raccoglie le esperienze e i ricordi più fragili. Nonostante la vittoria di un talent, spesso, porta al susseguirsi di aspettative e momenti di hype che rischiano di minare il debutto ufficiale dell’artista, Baltimora si presenta al pubblico con un progetto sincero e malinconico in cui la voce emotiva si staglia su liriche profonde e produzioni antitetiche.
In vista dell’inizio del suo tour tra Roma, Ancona e Milano, abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con l’artista dorico per poter approfondire gli aspetti più interessanti del suo stile eclettico e versatile.
Recentemente è stato pubblicato il tuo primo progetto ufficiale “Marecittà”, un EP che sa della tua città e dei tuoi ricordi, figlio di una selezione precisa dei brani scritti in questi anni. Qual è il filo conduttore che li unisce?
Ho scelto questi pezzi perché erano quelli da cui mi sentivo estremamente rappresentato: sette sfaccettature diverse del mio carattere, della mia personalità e, più banalmente, del mio sound. Volevo raffigurare il tutto nella maniera più eterogenea possibile essendo questo il mio primo EP, la mia presentazione discografica. Son tutti brani nati, concepiti e finiti in Ancona: è stato un po’ come fissare il mio passato in qualcosa che tutti poi potranno rivedere.
Una delle peculiarità del progetto è una lirica capace di creare un immaginario evocativo e dettagliato. Da cosa trai ispirazione principalmente quando scrivi?
Di solito traggo ispirazione dalle situazioni più disparate, tutte accomunate da una “botta” fortissima allo stomaco: sento come un ago, un mattone che sembra farmi star male dentro ma che mi stimola a raccontare ciò che sto vivendo, ciò che mi sta facendo provare questa sensazione.
Oltre che autore dei brani ne hai curato direttamente anche le strumentali. Qual è il tuo approccio alla produzione?
Per me l’obiettivo è sempre quello di cercare di “aiutare” la canzone a percorrere la propria via: appena qualcosa inizia ha già una direzione propria e bisogna “collaborare” per non deviare il pezzo da ciò che ha già dentro, cercando di raggiungere quel fine. È sempre uno sperimentare continuo, mi sorprendo costantemente quando sono in studio. Non cerco quasi mai qualcosa di preciso: magari a volte mi viene l’idea, ad esempio, di aggiungere un rhodes che faccia certe note e faccio delle prove ma la maggior parte delle volte nasce come “uh, figo”. C’è sempre l’idea di non traviare ciò che già esiste.
Alla produzione sei stato accompagnato da un professionista come Simone Privitera, in arte Simon Says!. Per un artista abituato a lavorare in solitaria come te, lavorare con qualcuno ti ha spinto fuori dalla zona di comfort?
All’inizio sicuramente si. Già durante X-Factor si passa da un “pass”, come al ristorante, dove qualcuno deve dare l’ok e ciò comporta una certa contaminazione, che nel mio caso rimaneva comunque minima. Da lì già ho iniziato ad aprirmi all’idea: prima ero terrorizzato e bloccavo chiunque lavorasse alle mie cose; sembravo quasi pazzo (ride, ndr.). Ora non riesco più a separarmi da una seconda persona che mi aiuta perché mi toglie tantissimo peso addosso. La ricerca del suono per me è sempre stata ossessiva e aver trovato una figura come Simone, ma banalmente anche tante persone con cui mi capita di lavorare senza obiettivi discografici precisi, è stato fondamentale. Poter non essere seduto davanti al pc ma arrivare con la demo pronta e l’idea di come deve essere il pezzo, affidandolo a chi questo lavoro lo sa fare bene e di mestiere, mi permette di non perdere tempo nella rifinitura avanzando con il processo creativo senza scendere in tecnicismi.
“Marecittà” rappresenta il tuo esordio ufficiale dopo la vittoria della quindicesima edizione di X Factor. Prima della pubblicazione avevi paura delle aspettative che potevano accompagnarla?
Paura zero: mi sono sentito libero, autonomo, e ho fatto ciò che desideravo. Per me le aspettative sono sempre inutili, se non quelle degli obiettivi che mi pongo da solo. Un conto è prevedere ciò che possa fare un artista in base a ciò che ha già fatto, però aspettarsi sempre di fare qualcosa di incredibile è sbagliata. Non la vivo come una cosa pesante, alla fine faccio ciò che mi piace e “bona”. riide, ndr.).
Se avessi l’opportunità di tornare indietro nel tempo, rifaresti il percorso di X Factor?
È una domanda molto difficile. Sicuramente ci sono lati negativi e lati positivi e forse questi ultimi superano gli altri. Il principale motivo per cui lo rifarei non è il pubblico, non è la visibilità, ms è quello che ho imparato perché sono cresciuto tantissimo. Quindi si, probabilmente lo rifarei se potessi tornare indietro.
Hai raccontato che “Marecittà” racconta il tuo passato ma, rappresenta il tuo debutto. Lo vedi più come la chiusura di un capitolo o l’inizio del tuo percorso?
È un po’ il punto di congiunzione tra le due cose. È come se, dopo aver sempre percorso una strada dritta, avessi girato e l’EP nerappresenta il punto di svolta.
Ora che il primo EP è stato pubblicato, quale direzione hai deciso di intraprendere?
Adesso mi sento molto più libero, meno limitato. Prima potevo parlare solo di quello: avevo vissuto tanto in modo ricco ma comunque marginato alla mia città. Da una parte lo prendo anche in modo più leggero perchè prima quando non scrivevo mi sentivo veramente male mentre adesso so che mi piace ciò che faccio e ho assunto più consapevolezza. Mi sento più libero di fare ciò che viene senza darmi limiti e regole. Parlerò di tutto ciò che mi succederà senza la necessità di avere schemi.
Intervista di Alberto Rogano.
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