Recensione di “Musica per vincenti” di Metal Carter

Dopo meno di due anni dall’uscita di “Fresh Kill”, il suo ultimo lavoro, Metal Carter torna a farsi sentire con “Musica per vincenti”: un album carico di contenuti che sintetizzano e completano la carriera di una vera e propria leggenda dell’underground.

L’ottavo capitolo di Metal Carter è un disco senza alcun tipo di compromesso: puro “Rap-Death maledetto” scritto da un “genio gretto servo dal veleno infetto” non ossessionato dalla notorietà, promotore di un rap estremo, violento, brutale e dannatamente scomodo.

Attraverso il suo solito stile atipico, “liricamente eccellente e metricamente bollente”, torna a parlarci di un “culto che vive nella mente, anima e corpo”, pieno di “regole e principi”, con “metodo e cognizione” (per tutto ciò che vive e scrive) che accompagnano un Sergente sempre “contro censura, buonismo e conformismo”.
“Ho sperato che il mio odio si placasse ma poi ho capito che l’odio è il mio asse”.

Un disco tanto sofferto quanto sentito, scritto con l’inchiostro: il sangue della carne di colui che ha realmente esperito il dolore fisico della mediazione e del confronto costante con un mondo totalmente indifferente ai suoi “giorni di sofferenza”.
Ciononostante, il Cult Leader è qui con noi e per noi a “scrivere il nodo delle vostre gole”, “queste parole sono per te, secco. Servono a renderti un uomo migliore”.

Quest’album, a parer mio, testimonia e conferma ancora una volta il valore immenso di quest’uomo. Con tratti estremamente violenti e brutali, a volte perfino sadico o masochista, Metal Carter nel corso degli anni, ha pagato un debito senza averlo mai contratto: “famiglia e quartiere hanno creato un mostro”, provocato in lui “dolore dentro” e “giorni di sofferenza” che hanno letteralmente distrutto la sua esistenza.

Nonostante tutto è “Musica Per Vincenti”, musica per chi sta “al di sopra” (faccio riferimento ad un suo tatuaggio), un disco scritto da e “per chi non ha l’amore e morirebbe di un abbraccio”, da un Sergente reduce da un aspro contesto di “Violenza Domestica” che ha ritrovato il coraggio di amare ma sopratutto, non ha paura di farlo.

“Qui l’infarto viene solo a chi ha cuore”. Non mancano affatto frasi di denuncia nei confronti di un mondo totalmente arido e disumanizzato; personalmente, lo trovo anche più maturo e lucido rispetto al passato, inteso in termini di consapevolezza: ci parla di “uomini senza peccato in mezzo a luride puttane” ma questa volta, più che odio in senso stretto ed esclusivo, prova pena nei confronti di “sta porcaccia che non sa a chi darla” e al tempo stesso parla di “emozioni che non ha mai provato”. Tutte frasi volte a sottolineare meschinità e pochezza di certi individui.
Il fondatore del Truceklan e caposcuola indiscusso del “Death-rap” italiano, non ha affatto deluso le aspettative.
Certo, è un album complicato e non è musica per tutti, i beat cupi di Santo Trafficante (a mio avviso perfetti) rendono pesante l’ascolto per i non appassionati, ma è rap di nicchia, “musica per sordi e cinema per ciechi quello che vedi”, si sa; con un’attenta analisi ed un lavoro ermeneutico accurato è possibile scorgere il “cambiamento” di cui vi ho parlato, nonostante Carter rimanga fedele a se stesso, al pubblico ed estremamente coerente con la sua carriera caratterizzata da “un rap esclusivo dal contenuto suggestivo”.

Articolo di Salvo Rapisarda.

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