Intervista ad Alessandro La Cava

Molti dei singoli che hanno dominato le classifiche e lasciato un segno nell’ultimo anno son collegati da un fil rouge comune: la penna di Alessandro La Cava. L’artista di casa Universal è una delle rivelazioni autorali più sorprendenti del 2021 avendone scritto alcuni dei singoli più iconici tra cui la hit “Malibu”, brano scritto in collaborazione con sangiovanni e Dardust che, oltre ad esser stato certificato sette volte disco di platino, è stato il singolo più venduto dell’anno. L’ulteriore consacrazione per Alessandro La Cava è stata il Festival di Sanremo dove Alessandro ha firmato ben quattro singoli presentandosi finalmente al grande pubblico. Abbiamo avuto la possibilità di scambiare due chiacchiere con lui per approfondire il ruolo sempre più centrale dell’autore e conoscere meglio le sensazioni di una delle penne più interessanti del panorama italiano.

Ciao Alessandro! Nonostante tu abbia solamente ventidue anni, hai già raccolto svariate certificazioni, infranto record e lasciato il segno su alcuni dei brani più iconici dell’ultimo anno. Come ti senti a questo punto della tua carriera?
È una sensazione particolare perché è tutto quello che ho sempre sognato: sono riuscito ad ottenerlo da molto giovane e, nonostante sia una bellissima emozione, allo stesso tempo mi spaventa. Sono un ambizioso nato, cerco sempre di alzare l’asticella e il mio obiettivo è quello di perdurare nel tempo: non voglio che sia una situazione circoscritta e non si espanda per molti anni. La musica è la mia vita e voglio che queste sensazione, questa felicità e questi apprezzamenti non si fermino a questo periodo. È una grande sfida con me stesso: già sto pensando al futuro, alle prossime canzoni, a cosa creare di nuovo per dar qualcosa di nuovo e fresco al mercato.

Ti sei dimostrato un vero e proprio hit maker e uno dei traguardi più importanti che hai raggiunto lo scorso anno è stata la certificazione del singolo sette volte di platino “Malibu” come brano più venduto del 2021. Quando eri in studio con sangiovanni e Dardust, avevi già idea di che effetto avrebbe riscosso il pezzo?
Intorno a me tutti quanti erano sicuri che quel pezzo (“Malibu”, ndr.) avesse qualcosa di magico e di diverso già dai primi ascolti.
In quel caso da parte mia non è stato facile capirne la vera potenzialità subito e ci sono voluti più ascolti.
Può succedere di non comprendere la forza di un brano nell’immediato, ma ho la fortuna di lavorare con editori e colleghi che hanno appreso questa skill con l’esperienza.
Questa è un’abilità che sto cercando di sviluppare meglio attraverso il lavoro costante.

“Malibu” è sicuramente figlia del connubio perfetto che si è creato tra te e sangiovanni, artista di cui hai firmato svariati singoli fin dai suoi esordi ad Amici. Com’è nato il vostro rapporto?
Con Sangio abbiamo iniziato a lavorare insieme quando era già nella casa di Amici, non ci conoscevamo e non avevo molto materiale informativo su di lui. Allora iniziai a guardare i day time e le sue esibizioni di “gucci bag” per capire lo stile e il linguaggio e conoscerlo meglio. Poco dopo è nata Lady.
La cosa bella di questa collaborazione è che è stato un incastro inaspettato e magico: siamo molto complementari e, avendo un linguaggio e un vissuto molto simili, siamo riusciti a lavorare in modo totalmente spontaneo. È come se ci fosse una sintonia innata nei pezzi, possiamo dire che sono stati i brani ad averci uniti e non viceversa.

Quanto è importante per un autore conoscere l’artista di cui, o per cui, si sta scrivendo?
Sicuramente per un autore è fondamentale conoscere l’artista con cui si sta iniziando a lavorare. Non mi riferisco tanto da un punto di vista melodico anche perché penso che provare a mettere un vestito sonoro diverso molte volte possa creare qualcosa di innovativo e intrigante, soprattutto al giorno d’oggi in cui il pubblico ha sete di novità sonore. Al di là degli aspetti di melodia e produzione, è importante l’approccio al linguaggio: sicuramente un ragazzo di vent’anni avrà un modo diverso di comunicare rispetto a un artista più maturo, ad esempio un termine che può dire sangiovanni magari non lo può dire Morandi (ride, ndr.). Bisogna vestire l’artista di coerenza e sincerità.

Un altro passo fondamentale della tua carriera è stata la quadrupla firma all’ultimo Festival di Sanremo con i singoli “Farfalle”, “Insuperabile”, “Virale” e “Ti amo non lo so dire”. Come ti sei sentito quando hanno annunciato il tuo nome tra i compositori di un brano?
Ad esser sincero è stato un momento particolare anche per come lo stavo vivendo: ero su un Frecciarossa di ritorno da Parigi, ovviamente in ritardo (ride, ndr.), e speravo che nessuno dei miei fosse tra i primi; ovviamente Noemi si è esibita all’inizio mentre ero ancora nel bel mezzo delle gallerie delle Alpi e non sono riuscito a vederla in diretta ma dopo qualche minuto di differita mi sono riuscito a collegare ed è stata una bella sensazione. Comunque sia, ma è un problema dell’essere umano in generale, quando sogni tanto un momento, una sensazione, poi, una volta raggiunto quel piccolo obiettivo, non te lo riesci a godere a pieno e pensi: “E ora? Che faccio?”. Possiamo dire che si è realizzato un mio primo sogno: scrivere un brano per il Festival della canzone italiana, uno dei pochi slot in cui anche il ruolo dell’autore è messo al centro. Era un po’ come se anche io gareggiassi. Ero molto convinto dai brani: sono nati in modo estremamente sincero, li abbiamo scoperti progressivamente con molto studio dietro e penso che ora ognuno abbia la sua strada e che debba andare avanti con le proprie gambe, noi il nostro lo abbiamo già fatto in studio. Non è importante la posizione in classifica anche se magari un altro tassello che vorrò raggiungere nella mia carriera sarà quello di vincere il festival: l’importante è come la gente vive le canzoni, come le assorbe al di là dei piazzamenti e dei numeri.

Qual è il tuo approccio alla scrittura di un brano?
Un processo creativo standard non esiste e, per come la vedo io, chi se lo impone sbaglia. Ogni canzone nasce anche senza un motivo: può partire da una melodia, da un’idea di testo, da una sessione con altre persone. La scrittura è una palestra creativa e va alimentata nel tempo, anche creando opere non incredibili ma da cui poter trarre miglioramenti per il futuro. Anche l’ispirazione in sé deve essere alimentata e “costruita” guardando serie e film, leggendo o, racchiudendo semplicemente il tutto in una parola, vivendo: se si vive, se ci si interfaccia con gli altri imparando come comunicare, se si è attenti, si analizza, si ascolta ciò che ci circonda, allora siamo in grado di trarre grandi ispirazioni sia a livello testuale che melodico.

Cosa consiglieresti ad un ragazzo che vuole iniziare ad approcciarsi alla scrittura e al ruolo di autore?
La base è scrivere, scrivere, scrivere. Allo stesso tempo è molto importante ascoltare qualunque input, soprattutto di genere, stile e linguaggio diverso rispetto al proprio. Quando si vuole essere autore per terzi, ma in generale quando si vuole scrivere, bisogna essere consapevoli di quanta musica ci sia e quante sfaccettature può acquisire: se si rimane nella propria comfort zone si rischia di rimanere incappati in un proprio “sogno”, come una paralisi creativa che ti porta a rielaborare sempre gli stessi giri armonici, le stesse melodie o parole. Essere curiosi e mettersi in discussione sono le idee primarie con cui affrontare questo lavoro. Scritto un brano se ne fa un altro.

Nell’ultimo periodo il ruolo dell’autore è stato centro di discussioni soprattutto quando vicino all’ambiente hip hop. Secondo te perché risulta così difficile accettare questo tipo di collaborazione?
Penso che la figura dell’autore sia fondamentale in qualsiasi genere perché, nonostante la scrittura in solitaria sia un processo stupendo che ti permette di scavare nelle viscere della tua emotività, ciò che può darti un altra persona può valere molto più di una tua analisi personale. Siamo un popolo che socializza, viviamo in un mondo dato dalla somma di tante idee e lo scambio è sempre stato alla base del nostro background. La musica è aggregazione, intrattenimento, divertimento, ma anche introspezione e analisi interiore: è come quando vai dallo psicologo e cerchi di condividere i tuoi pensieri con chi può aprirti gli occhi e una strada di pensiero che non riuscivi a immaginare. Lo scambio e la condivisione fanno del bene a prescindere, sia nella musica che nella vita. Erroneamente poi si pensa che l’autore scriva solo i testi ma in realtà il nostro lavoro è spesso molto più melodico e sonoro. Il rap, ad esempio, si è convertito sempre di più in una chiave più pop e penso che automaticamente sia necessario e naturale l’apporto di coloro che sanno scrivere meglio quel codice di linguaggio, soprattutto musicale, e mettersi al proprio fianco chi sa parlare questa lingua è il metodo migliore per poter comunicare a più persone possibili.

Nonostante sia concentrata in solamente due anni, la tua carriera ha percorso svariate tappe raggiungendo grandissimi traguardi. Che direzione prenderai ora?
Vado dove mi porta l’istinto, che poi è stata la mia salvezza in questi anni: non voglio creare schemi ma sentirmi libero di sperimentare. Forse questo è il mio più grande desiderio: cercare di rompere ciò che c’è già creando qualcosa di nuovo e per fare ciò devo lavorare nel modo più istintivo possibile senza andarlo a cercare. È un po’ come l’amore, se lo cerchi non arriva mai.

Intervista di Alberto Rogano.

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