Diciotto dischi di platino, tre dischi d’oro, oltre centro milioni di streaming con “Malibu”, singolo che è stato inoltre il più ascoltato e con il video più visto su Vevo dell’anno passato. Questi sono solo alcuni dei traguardi che sangiovanni ha raggiunto in tempo record ad appena diciannove anni. Dopo aver vinto la propria categoria ad “Amici”, i numeri dell’artista vicentino l’hanno catapultato nella scena come una delle promesse più interessanti del pop italiano e, dopo essersi candidato come colonna sonora del 2021, ha esordito ufficialmente l’8 aprile pubblicando il suo primo disco “Cadere Volare” per Sugar Music.
Abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con sangiovanni per approfondire e scoprire i lati più fragili e sinceri del progetto e le sue emozioni in vista del debutto ufficiale.
Nonostante ancora la tua carriera sia breve, hai già infranto vari record e ti sei dimostrato un vero e proprio hit maker, in particolare grazie alla pubblicazione di “Malibu”, il pezzo certificato sette volte disco di platino che ha accompagnato la scorsa estate. Eppure, hai fatto tutto a soli diciannove anni e le varie etichette che ti sono state affibbiate stanno generando delle inevitabili aspettative. Hai paura di ciò?
Ho più paura delle mie aspettative che di quelle altrui: quando me ne pongo e non riesco a raggiungerle chiaramente ci sto male. Le aspettative sono solo un’invenzione sociale per far si che qualcosa sia più o meno giudicabile: se ti aspetti qualcosa e lo superi bene, sennò hai fallito. Io faccio musica, faccio ciò che mi piace e anche se solo una persona riesce a trovare del benessere dal mio lavoro allora sono apposto con me stesso e non lo potrò mai ritenere un fallimento. Non posso far musica pensando a fare milioni di streaming ma lo faccio per le persone, per aiutarle e farle star bene: questa è la mia vera aspettativa. Sicuramente una cosa di cui ho paura è più pensare di aver fatto tutto ciò a diciannove anni e a cosa mi “rimane” da fare, questa è una paura gigante. Oggi ho fatto un disco, e poi?
Fin dal titolo si evince un’apparente antitesi: quella tra il “Cadere” e il “Volare”. Eppure, nonostante sembrino due atti opposti, questi due sono inscindibili e fanno parte di un unico movimento osservato da due prospettive diverse, sono due facce diverse della stessa medaglia. Il disco incarna a pieno questi due punti di vista, sia per quanto riguarda i testi che per le produzioni, uno più cupo e triste e uno più up e leggero. Se dovessi associare un brano al “Cadere” e uno al “volare”, quali sarebbero?
Secondo me i pezzi si dividono in “Cadere” e “Volare” in particolare per i beat che possono essere più dark o più up. All’interno di questo insieme ci sono altri discorsi di testo e sfumature, ad esempio “Farfalle” è un pezzo decisamente “Volare”, anche per il beat, ma in realtà ne ho parlato con molta tristezza oppure anche in “Cielo dammi la luna”, un pezzo apparentemente super “Cadere”, in cui però volevo raccontare delle cose felici. In realtà in ogni pezzo c’è un insieme di questi due mondi. Anche “Amica Mia” è un pezzo super leggero: avere un’amica è una cosa bellissima ma qui parlo dell’ansia in un modo quasi ossessiva. Sicuramente per come mi sono sentito io, se dovessi dirti un pezzo che rappresenta il “Volare” ti direi “Cortocircuito” perché mi ha fatto superare un blocco: non riuscivo più a scrivere e con questo pezzo ho liberato delle emozioni che sentivo il bisogno di far uscire. Invece “Se mi aiuti” è stato un pezzo parecchio “Cadere”, forse il più pesante del disco, quello che ho chiuso per ultimo e che mi rimane più difficile da ascoltare.
Ciò che risalta maggiormente dai testi è la leggerezza con cui ti mostri fragile e l’emozione dietro ogni parola. Da cosa trai ispirazione quando scrivi?
Quando sento un’emozione così intensa da dovermene liberare sento di dover iniziare a scrivere e, siccome soffro d’ansia, a volte la musica è l’unica terapia che mi salva: le butto addosso tutto ciò che sento di dover dire. Non riesco mai ad andare in studio per fare lì un pezzo, se ci vado so già cosa voglio dire e come lo voglio dire perchè ho vissuto un’esperienza e un’emozione di cui mi voglio liberare o che sento valga la pena raccontare. Ad esempio, quando ho scritto “Che gente siamo” mi sono svegliato nella notte con il testo in mente perché ero stanco di tutte le stronzate di cui poi ho parlato e sentivo la necessità di metterle in un pezzo.
Una delle scelte che mi sono saltate all’occhio subito è l’assenza di featuring. Il disco risulta così sincero e personale che probabilmente sarebbe difficile sentir qualcun altro raccontarvi qualcosa ma, considerando che nel mercato di oggi spesso si cerca spesso una collaborazione ad hoc per creare hype o dar visibilità al disco, come mai hai deciso di muoverti così contro tendenza?
Ci sono vari motivi dietro questa scelta. Innanzitutto è un disco talmente mio e parlo talmente tanto della mia vita che non saprei nemmeno cosa togliere per lasciar spazio a qualcun altro. Sono super fan delle collaborazioni: è bello condividere la musica con altri e sentire le loro storie. Ci sono talmente tante emozioni nei pezzi che sono riuscito a scriverne alcuni abbastanza lunghi per pubblicare un disco (ride, ndr.) e di ciò sono molto contento perché significa che avevo tanto da raccontare. Inoltre, secondo me, è difficile trovare la persona adatta a dire le cose giuste per ogni canzone. Non sono fan dell’hype e penso che pubblicare un disco da solo sia una grande scommessa: fare un featuring, in particolare nella mia posizione, sarebbe stato molto più semplice soprattutto per ottenere consensi da chi mi ascolta con pregiudizio. Prima di far questo passo penso sia più importante che prima arrivi io come persona e come artista. Tante volte non è facile uscire da un programma TV come “Amici” e riuscire ad instaurare rapporti con altri artisti per via di semplici pregiudizi ma c’è qualcuno che mi ha accolto in modo molto positivo e con cui avrò piacere di lavorare in futuro.
Rispetto alle tue scorse pubblicazioni sono anche quasi assenti gli interventi di autori esterni. Come mai hai preso questa scelta e come nasce questo tipo di collaborazione?
In questo disco ci sono pochi pezzi con autori soprattutto perché molti sono nati in maniera istintiva dalle mie emozioni. A volte dove non arrivi tu può arrivare qualcun altro: ciò di cui parlo è sempre roba mia ma magari l’autore mi dà uno spunto in più per sistemare quella parola, per sistemare una top-line più pop o rap in base al mood del pezzo. In Italia c’è un concetto di autore completamente diverso da ciò che poi è in realtà, bisogna dividere il ruolo dell’interprete che apertamente chiede l’aiuto a professionisti esterni da quello di chi, come me, mette mano direttamente sul testo e si interfaccia con un autore. Ad esempio, per “Cadere Volare” sentivo il bisogno di fare qualcosa di molto pop con top-line più complesse e sapevo di volere con me Dardust e Ale (Alessandro La Cava, ndr.) ma il pezzo era già pronto. A volte magari non riesco a trovare un ritornello e cerco qualche spunto da lui: è una condivisione che penso sia tra le cose più belle che ci siano.
Uno degli aspetti più interessanti sono indubbiamente le influenze e le reference che si nascondono dietro i pezzi. Si sente come vi sia stata una gran cura del sound complessivo del disco alla ricerca di un tappeto sonoro uniforme che potesse far da fil ruoge tra i tanti produttori che hanno messo male alla realizzazione del progetto. Da cosa nasce quest’incalzante ricerca sonora?
La ricerca sonora nel disco nasce da stimoli miei di voler ascoltare tanta musica per poi trovare ciò che mi piace per provare a rifarlo a modo mio, ad esempio c’è stato un periodo in cui ero così tanto in fissa con Tangana, e in particolare con questi suoni spagnoli e folk, che ho cercato di fare un pezzo così raccontandoci qualcosa di mio (“Amica mia”, ndr.). Ascoltando tanta musica è normale che ci siano vari riferimenti a disposizione e poi, mettendoci del tuo, è difficile renderti conto da dove hai preso spunto maggiormente, ad esempio in “Sigarette alla menta” la ref. è un pezzo di Kid Cudi che, a posteriori, non c’entra niente se non per l’immaginario. Una cosa che mi ha aiutato tantissimo è stata fare un disco con tutti produttori diversi: nessuno sapeva cos’avevo già fatto ma semplicemente entravo in studio con un’idea nuova cercando di trasformare in musica un mood, uno stato d’animo, e così i pezzi sono nati in maniera super naturale. Ciò che lega tutti i brani è sicuramente il mio modo di scrivere e di cantarci sopra: se li analizziamo effettivamente ci sono alcune produzioni molto distanti tra loro ma si nota un filo nel mio modo di approcciarmi alla musica per farla il più possibile mia. Sarei curioso di vedere se riuscirei a fare la stessa cosa con un produttore solo: trovare una persona che mi permetta di lavorare su tanti mood e che sia una sorta di “casa”.
Spesso dietro alla vittoria di un talent o all’inaspettata esplosione di un singolo di un emergente così giovane si nascondono pregiudizi ed etichette, così come ci ha raccontato lui stesso. “Cadere Volare” è un progetto leggero ma pesante, un disco sincero che racconta le fragilità di un ragazzo appena diciannovenne. Però, dobbiamo ricordarci che è solamente il suo disco d’esordio, è il primo passo per un artista che si candida a essere tra i volti principali del pop italiano e, vista la qualità e la ricerca che dietro vi si nascondono, ha indubbiamente imboccato la strada giusta.
Articolo e intervista di Alberto Rogano.
PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATI:
RapAdvisor
RapAdvisor Instagram
0 commenti