È già da qualche edizione che sul palco dell’Ariston salgono dei “nuovi” artisti, atipici a tutto quello che è il contesto della kermesse. Quest’anno è toccato a Willie Peyote con il suo brano “Mai Dire Mai (La Locura)” ottenendo il secondo posto nella classifica delle tre giurie, il sesto nella classifica finale ed il premio della Critica “Mia Martini”.
Fare rap con la cassa dritta a Sanremo è veramente inusuale e spesso si teme che quando un artista di questo genere varchi quel palco cambi completamente stile musicale per trovare più facilmente i consensi del nuovo pubblico. In questa 71esima edizione Willie Peyote ci ha dimostrato che basta rimanere fedeli a sé stessi per risultare validi e di qualità, la sua posizione in classifica ne è la prova, l’essere arrivato a tre giurie differenti ci fa capire come possa esistere una comunicazione fra filoni di pensieri (musicali) diversi.
Difatti il secondo posto è un traguardo di per sé abbastanza interessante in quanto le tre giure (demoscopica, orchestra e sala stampa) rappresentano ciascuna un tipo di giudizio diverso: uno popolare, uno “musicale”, ed uno “critico”. La scelta di fare durante la serata delle cover “Giudizi Universali” con Samuele Bersani senza cambiare alcuna parola del testo è un ulteriore punto a favore per Willie Peyote, la sua performance pulita e rispettosa può dimostrare all’occhio (e orecchio) di qualsiasi persona affezionata alla “bella musica italiana” che anche un rapper può legarsi ed essere condizionato dallo stesso loro mondo.
La forza del brano “Mai Dire Mai (La Locura)” sta nelle forti immagini contrastanti delle strofe, piene di critiche e controsensi rivolte alla società odierna e post-quarantena, aprendosi ad un ritornello orecchiabile che facilmente resta in testa, volto ad un ragionamento aspro sulla mentalità italiana. Un “cortocircuito” per il palco dell’Ariston che nella prima strofa porta una riflessione critica sullo stato della musica attuale, mentre nella seconda un punto amaro della situazione sociopolitica in Italia.
Il rapper torinese ha lui stesso affermato che la canzone è un invito a “prendersi tutti meno seriamente” lui compreso (nel rispetto della situazione attuale in Italia), che nonostante sembri un invito innocuo appare come tosta provocazione in quanto la canzone fa riferimento a quelle categorie di persone che si prendono talmente seriamente che vanno ad estraniarsi dalla realtà che li circonda, risultando alla fine banali o inutili per la lotta di una causa che ritengono importante.
L’idea che il rap sia solo un’accozzaglia di ostentazioni e luoghi comuni è quella che più facilmente crea vere e proprie discriminazioni di genere a livello sociale (e alle volte anche lavorativamente parlando) ed è per questo che sentire “Mai Dire Mai” in televisione durante il Festival della musica italiana diventa importante, perché (come già detto) è un brano che non solo tende a prendere in giro le persone per le loro abitudini, ma Sanremo stesso. La vittoria del premio “Mia Martini” (premio dato dalla Critica) è un ulteriore passo in avanti dato che viene istituito da giornalisti e critici musicali complici spesso di non capire mai un grandissimo genere (e movimento) giovanile.
Il Metodo Peyote ci dimostra che è possibile servirsi di un’esposizione mediatica importante come quella di Sanremo, rimanendo coerenti con il proprio percorso musicale.
“Poi, sai, io non discrimino, andrei pure a Sanremo
Perché convincere chi è già d’accordo è facile, scemo”
-Willie Peyote, “Avanvera” (album “Sindrome di Tôret”)
Articolo di Gabriele Coppola.
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