Kendrick Lamar ha veramente alzato l’asticella?

Sono passati quasi da 7 anni dalla pubblicazione di “Control” pezzo di cui ancora si parla in cui Big Sean ospitò Kendrick Lamar e Jay Electronica . Ciò che veramente scosse la scena di quel singolo fu la strofa di K-Dot che, nel tentativo di alzare l’asticella, si definì uno dei migliori rapper di sempre e sfidò, nome dopo nome, la maggior parte dei rapper della sua generazione. In particolare, il rapper di Compton ha nominato J.Cole, Big K.R.I.T., Wale, Pusha T, Meek Mill, A$ap Rocky, Drake, gli stessi Big Sean e Jay Electronica con cui stava dividendo la traccia, Tyler the Creator e Mac Miller. Ma da “Control” Kendrick ha veramente portato in alto l’asticella?

La risposta è sì. Se in quella strofa il buon ragazzino nella città cattiva aveva messo il suo nome insieme a quello di Jay-Z, Nas, Eminem e Andre3000 come livello, da lì in poi lui non è più voluto scendere dal trono. In quel periodo era appena uscito il classico istantaneo “Good kid m.a.ad city”, ma dopo quel disco Kendrick Lamar ci ha regalato “To Pimp a Butterfly”, nettamente uno dei dischi migliori della storia del rap, ed altri due ottimi lavori con “Untitled Unmastered” e “Damn”.

Ma non solo, perché il rapper di Compton ha fatto in modo che il resto della scena volesse alzare l’asticella creando musica originale e immortale. Ognuno di questi rapper ha risposto a suo modo alla provocazione di King Kunta. A partire da J.Cole, che negli ultimi 7 anni ha cercato di distaccarsi dalla sua ordinarietà ed ha pubblicato i suoi lavori più apprezzati: “2014 Forest Hills Drive”, “4 your eyez only” e “K.O.D”, riuscendo nell’impresa di ottenere un platino per ognuno di questi dischi senza aver inserito neanche un featuring. La risposta di K.R.I.T. è arrivata in “4eva is a mighty long time”, disco acclamatissimo dalla critica che ha dimostrato che anche il suo nome merita di essere ricordato, così come quello di Wale, che è rimasto uno dei rapper più street della penultima generazione.

Pusha T dal 2013 ha continuato la sua scalata per cercare di diventare il miglior gangsta rapper di sempre, cercando di affiancare le sue solide barre con delle produzioni varie e creative, finendo a lavorare con menti artistiche tra le migliori in circolazione: da Kanye West a Pharrell e Lauryn Hill. Meek Mill ha avuto una carriera molto convulsa, ma il suo tentativo di essere qualcosa in più è evidente soprattutto nell’ultimo album “Championships”. A$ap Rocky, invece, ha scelto per sé la strada della sperimentazione, creando dischi estremamente complessi e innovativi, soprattutto a livello sonoro, senza abbandonare però la sua capacità di creare grandi successi. Negli ultimi 7 anni, invece, Drake è arrivato alla consacrazione, diventando l’artista di maggior successo di questa generazione, senza perdere la sua reputazione e continuando ad aiutare giovani talenti ad emergere.

Big Sean stesso è riuscito a consacrarsi soprattutto grazie ai due progetti del 2017 “I decided.” e “Double or Nothing” con Metro Boomin, in cui ha dimostrato di essere un rapper poliedrico e senza limiti. Il primo album di Jay Electronica, “A written testimony”, è appena uscito ed è stato subito apprezzato moltissimo da pubblico e critica, così come le ben 8 tracce con Jay-Z contenute nel disco. Tyler The Creator è stato forse colui che ha avuto la maggiore evoluzione da allora. Nel 2013 nessuno si sarebbe aspettato che il losangelino sarebbe passato dall’essere un rapper crudo e grezzo ad essere sensibile e poco mascolino e che potesse addirittura mettere in discussione i limiti del rap come genere. Purtroppo Mac Miller non è più tra noi ma la sua musica sicuramente non sarà dimenticata. La ricerca della melodia, l’introspettività e l’atmosfera presente nei dischi del rapper di Pittsburgh, tra cui il postumo e stupendo “Circles”, sono uniche.

Le conclusioni sono quasi scontate. Grazie Kendrick Lamar per aver voluto che tutti alzassero l’asticella. Ora che tutti hanno raggiunto un alto livello, ci auguriamo che pure Kendrick torni a collaborare i colleghi che sfidò.

Articolo di Matteo Pinamonte

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